mercoledì 11 gennaio 2012

Perchè non ci piace una musica?

Dopo Il resto è rumore, la seconda fatica di Alex Ross: Senti questo, pubblicato con Bompiani. Un volumone che racconta stile New Yorker tutto quello che non si sa della musica classica, contemporanea e pop. Come nell’altro libro c’è tutto, da Monteverdi a Dylan, dalla Ciaccona al blues non necessariamente in quest’ordine. Gioia degli occhi e delle orecchie, è come avere un amico esperto di musica che arriva ad azzardi del tipo: “Se una macchina del tempo mettesse insieme qualche musicista spagnolo del tardo XVI secolo, una sezione di basso continuo guidata da Bach e suonatori della band di Duke Ellington del 1940, e se John Paul Jones entrasse con la linea di basso di Dazed and Confused, dopo un paio di minuti di caos potrebbero trovare un terreno comune”. E giù a dimostrare perché.

Oppure uno che risponde a una domanda che in effetti ti fai da sempre: ma perché non riesco ad andare a un concerto di classica senza sentirmi un corpo estraneo? Risposta: 1802, l’anno in cui Johann Nikolaus Forkel pubblicò la sua biografia di Bach rendendolo il primo classico e costruendo l’ideologia nostalgica di un’arte che con la morte del compositore non sarebbe stata più pura, e denunciando il rischio che da quel momento in poi la musica non diventasse che frivolezza. Come capita a tutti i profeti del passato, Forkel non poteva prevedere che mentre diceva questo Beethoven stava scrivendo L’Eroica, ma ormai il dramma era fatto. Poi venne Wagner, o meglio la moglie e la fondazione di Bayreuth che coincise con tutto quello che ancora oggi capita di provare a un concerto di musica classica: niente applausi, ignorante; fermo e seduto, bestia; hai visto, non ha la cravatta.

Il bello è che lo stesso accadde con il jazz e probabilmente, almeno a giudicare da uno degli ultimi concerti di Lou Reed in Italia, anche con il rock: a un certo punto arriva sempre qualcuno a dire che la ricreazione è finita e che la musica che avete ascoltato finora d’ora in poi la dovrete ascoltare come in un salotto. Fortuna che poi in ogni epoca arrivano i Led Zeppelin di turno e si ritorna a concentrarsi sulla musica.

Questo hanno di bello i libri di Ross: che il filo rosso che tiene insieme Mahler e i Radiohead non sono i soliti concetti bislacchi di “contaminazione”, “declinazione”, “post-qualsiasi cosa”. E’ la capacità di leggere in ogni genere musicale la sua forza dirompente, il suo momento migliore. Che si parli di Mozart, di Schubert o di Bjork, la chiave di lettura è sempre questa: dove e come la musica aveva, ha o avrà qualcosa da dire, ci sarà sempre un pubblico ad ascoltarla.

(Da una recensione di D. Olivero)